Giulia Marchi - Hall Light Blue - Booth 14

Artissima
Novembre 2021

Tutto procede con un tempo fortissimo
Il progetto Mutter ich bin dumm è articolato ed eterogeneo sia nella scelta dei materiali che nella modalità di esposizione. Si riferisce al breve soggiorno torinese di Friedrich Nietzsche, concentrandosi sulla stesura dei cosiddetti "biglietti alla follia", ventun lettere destinate a personaggi fondamentali per il filosofo che questi ha scritto dopo essersi parzialmente ripreso dall'episodio che segnò il suo collasso mentale.
Il filosofo tra il 1888 e il 1889 trascorse alcuni mesi nella città di Torino vivendo in un alloggio di Piazza Carlo Alberto; in quel luogo accadde un episodio che segnò profondamente l'intellettuale tedesco: vedendo un cocchiere che stava maltrattando il proprio cavallo, Nietzsche corse verso l'animale lo abbracciò con un intento salvifico e crollò a terra svenuto. Questo fatto segnò profondamente la psiche del filosofo e lo condusse verso quella che venne definita la sua "follia silente".
Fondamentale per la progettazione del lavoro sono stati uno studio sui testi sistematico e approfondito ed una ricerca cinematografica in merito all'episodio del cavallo nello specifico il film del 2011 di Béla Tarr ed Ágnes Hranitzky "Il cavallo di Torino" (A Torinói ló).
In merito ai "biglietti alla follia" l'artista tenta un approccio scientifico ai testi, li affronta come codici da decriptare in quanto la loro stesura originaria è veramente complicata e di difficile comprensione; vengono estrapolate da questi cento parole, termini fondamentali all'artista per una parziale interpretazione e con i quali lei stessa scrive quattro lettere, le sue "lettere alla follia".
La realizzazione dei codici si concretizza in matrici zincografiche impresse su carta bianca, l'idea è quella di un rimando alla stele di Rosetta. Le lettere sono battute a macchina e contenute in una teca con relativa busta ed intervento manuale con anilina gialla. - Il giallo segue il lavoro in tutto il suo iter in quanto colore dedicato alla follia ed all'intelletto -
I ventun destinatari di queste missive sono ricordati da leggerissimi fogli nei quali è stato riportato il loro nome resi immobili a terra da blocchi di ferro (materiali di risulta da fonderia) per ricordare le risposte mai arrivate al filosofo. L'artista tenta una visualizzazione della difficoltà del comunicare che caratterizza tutto il progetto.
Il lavoro dell'artista, inoltre, si sofferma sull'ultimo tentativo del filosofo di riscattarsi come compositore. Per quanto riguarda la dedizione di Nietzsche alla musica, alla sua stesura e alla sua pratica, (questi era un ottimo pianista ma un pessimo compositore) Giulia Marchi si concentra sull'ultimo tentativo autoriale dello studioso. "Manfred", un closet drama surreale e metafisico in tre atti scritto da Lord Byron alla fine del 1816, è ciò che Nietzsche tenta di musicare.
Il dialogo centrale di queste poemetto viene impresso con caratteri mobili su cartoncini specchianti (lo specchio è un elemento bandito a tutti i pazienti psichiatrici per chiari motivi di sicurezza). La lettura di questi frammenti diventa ritmica e musicale, la difficoltà di ritrovarsi in questi cartoncini che distorcono l'immagine è emblematica per la tipologia di approccio che il filosofo ebbe con questo testo.
Chiudono il progetto una serie di grandi specchi serigrafati con testi e parole del filosofo stesso gestiti a terra come fossero steli , pietre lapidarie davanti alle quali fermarsi per riflettere. Infine, in merito all'episodio del cavallo, sono state realizzate delle teche contenenti crini di cavallo.
Angela Madesani
Ieri, c'è sempre qualcosa accaduto ieri, non importa quale ieri fosse, le cose stavano più o meno così. Si parlava di libri, come spesso accade con Giulia. Si era proprio così. Perché Giulia i libri li sente prima che accadano e anch'io in qualche modo, nel mio modo o in un altro ancora li vedo prima che si annuncino. Ci sono uomini e donne così. Emilio Villa che faceva volare le parole, Mario Diacono, che affonda le mani nelle pagine, Giulio Paolini che le fa respirare, Mirella Bentivoglio che le nasconde, Maria Lai che le graffia via.
E poi Giulia che guarda tutto questo, raccoglie e mette in ordine per poi rimescolare tutto e impastarlo con le parole delle sue tante letture. Letture un po' desuete, demodè, che quasi dici ma chi. E poi ancora storie, appena accennate. Perché è meglio così, meglio non chiudere, raccogliere sì, raccogliere va bene. La cultura del cassetto, quello delle vecchie case dove tenere le poche povere cose della vita, polvere della vita, due fotografie, un orologio, l'anello di chi c'era e oggi non più. Il cassetto dei tipografi che se lo apri dici oh. Quello della biancheria che profuma. Quello degli attrezzi che prima o poi serviranno. Quello dei quaderni che tanto non ci scrivi più, ma che sai che ci sono. Quello dove nascondevi i pensieri e che poi non hai più aperto. Quello che un giorno hai detto è ora di finirla per poi scoprire che non era mai cominciata e allora l'hai richiuso in fretta.
Ed ora questo cassetto dove Giulia mette insieme le pagine torinesi di Nietzsche, le parole della follia insieme alle foglie cadute della sua follia, le prepara con cura per un viaggio che non sappiamo quando, ma accadrà. E allora sapremo, forse sapremo cosa è accaduto ieri.
Danilo Montanari
Una scatola, un contenitore, uno scrigno. Pieno, vuoto, riempito, svuotato. Lo spazio interno è reale, simbolico, immaginario, elementi uguali e diversi, nascosti ed esposti, citano, evocano, esprimono. Nietzsche, la sua storia, le sue intuizioni, i suoi versi, i destinatari dei suoi biglietti, il cavallo.
Le parole sono riportate alle singole lettere, eviscerate nel profondo, ridotte a codici e poi rielaborate nel tentativo di donarle di nuovi sensi di nuove possibili interpretazioni.
Aprire, cercare, rimodulare, associare, intravedere e toccare questo è quanto Giulia Marchi ci chiede di fare esplorando la sua opera, donando " uno squisito benessere diffuso su tutte le cose".
Lorenzo Balbi
Immagine di copertina: Giulia Marchi, Mutter ich bin dumm, 2018, calcografia su carta, cm. 54 x 36,5 x 0,35.
Polittico composto da 21 moduli.